Immigrazione, Sardegna in prima linea per una nuova politica europea

Nel dibattito sull'immigrazione che ha tenuto banco per larga parte di
questa estate, la classe politica sarda non ha purtroppo dato una buona
immagine di sé. Tra favorevoli e contrari all'accoglienza dei profughi,
ci si è mossi in un'ottica ristretta e priva di prospettiva, pensando
soltanto a un problema immediato che pure non aveva bisogno di
discussioni: all'accoglienza non si può essere contrari, punto e basta.
Queste persone sono già qui, hanno attraversato il deserto e il mare,
hanno affrontato mille pericoli, sono miracolosamente sopravvissute ed è
dovere morale di ogni essere umano, al di là della fede o delle
convinzioni politiche, dare loro aiuto per quanto è possibile.
Ciò su cui la politica dovrebbe cominciare a interrogarsi è ciò
che va oltre l'accoglienza. Quello che dovremmo chiederci è:
fronteggiare l'emergenza è tutto ciò che possiamo fare per aiutare
queste persone? E queste persone, si badi bene, non sono soltanto quelle
che arrivano sulle nostre coste, tratte in salvo da qualche mercantile
di passaggio. Queste persone sono soprattutto quelle che sulle nostre
coste non riescono ad arrivarci: quelle che perdono la vita in mare, nel
deserto, o magari senza neanche lasciare il proprio paese. Il
centrosinistra sembra aver già fatto la sua scelta: chiudere gli occhi,
guardare altrove e continuare a compiacersi della sua disponibilità ad
accogliere quanti più disperati possibile. Il centrodestra, per contro,
deve resistere alla tentazione di accodarsi alle derive xenofobe del
Salvini di turno e farsi promotore di una proposta politica forte e
coraggiosa.
Non v'è dubbio sul fatto che dietro la più grande migrazione di
massa dell'era moderna si celi un disegno politico ben preciso. Chi
minaccia la vita di milioni di persone nell'Africa Settentrionale e nel
Medio Oriente, Isis e altri movimenti fondamentalisti su tutti, vuole
creare una "bomba umanitaria" da scagliare contro l'Occidente, ed in
particolare contro l'Europa, per minarne alle fondamenta la coesione
sociale. Un'Europa debole e divisa rischia di essere spazzata via. Per
questo serve un'Europa forte, che voglia essere protagonista e non solo
spettatrice negli scenari internazionali, che superi la "politica della
bontà" in favore di una politica della verità e della giustizia. La
minaccia di chi attenta alla vita di milioni di persone per cercare di
destabilizzare il nostro modello sociale deve essere affrontata e
sconfitta e, per farlo, l'Europa deve dotarsi di una politica estera e
di una difesa comuni, che le consentano di intervenire anche al di fuori
dei propri confini. Solo così si potrà rendere giustizia alle migliaia
di persone che muoiono cercando di sfuggire a regimi disumani.
Pensare che tutto ciò vada oltre le competenze della classe
politica sarda è profondamente sbagliato. La Sardegna si trova, in
quanto terra di confine, in prima linea nel fronteggiare le migrazioni
di massa e pertanto è da qui che devono partire le proposte politiche
per risolvere il problema, anziché continuare a subirne le conseguenze.
Abbiamo un'Amministrazione regionale e dei parlamentari italiani ed
europei che sono chiamati a rappresentarci e che devono confrontarsi con
le Istituzioni nazionali e comunitarie. Se non vogliamo finire travolti,
noi sardi per primi, da un fenomeno che diventa ogni giorno più
incontrollabile, dobbiamo cominciare ad essere più presenti e attivi
dove si prendono le decisioni che incidono veramente sulla vita delle
nostre comunità.
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