Roma, 25 mag. (Labitalia) - Hanno una media di cinquant’anni, sono mal distribuiti e sfiduciati. Ma costano 7 miliardi in meno dell’anno scorso, 120 miliardi meno che in Francia e 75 miliardi meno che in Uk. E’ la fotografia dei dipendenti pubblici italiani, messi a confronto con i colleghi francesi e britannici, scattata dalla ricerca di Forum Pa in occasione della ventisettesima edizione della Manifestazione, in corso a Roma. L’indagine si concentra sui cambiamenti avvenuti nei tre Paesi dal 2007 a oggi. Sono numerosi gli ambiti indagati dalla ricerca, che evidenzia diverse problematicità in Italia. Tra queste, l’invecchiamento degli impiegati, che sfiorano i 50 anni di età media e non vedono entrare giovani: quelli con meno di 35 anni erano il 10,3 % nel 2011 e ora sono l’8%, contro il 25% del Regno Unito e il 27% della Francia. In più, gli impiegati sotto i 25 anni, ossia assunti direttamente dall’università, sono praticamente assenti (0,9% e quasi tutti nelle carriere militari).Altro fattore rilevato dall’indagine è la riduzione delle spese per gli stipendi dei dipendenti pubblici, che sono infatti diminuiti dai 171,6 miliardi del 2009 a 164,26 miliardi nel 2015, mentre sono cresciuti in Francia (da 254,1 a 281,7 miliardi) e in Uk (da 186,7 a 238,82); la media dei Paesi Ue è passata da 115,3 miliardi nel 2009 a 130 miliardi nel 2015. I dipendenti pubblici italiani costano molto meno che nei due Paesi di confronto per via del blocco dei contratti e della riduzione del personale, ma la tenuta del rapporto tra costo del personale pubblico e pil, che si è ridotto dal 10,9% nel 2007 al 10,6% nel 2015, non è stato pagato da una profonda riorganizzazione della macchina pubblica, come è invece avvenuto, per esempio, in Uk. In più, se in alcuni comparti, come la scuola, si sono persi circa centomila dipendenti dal 2007 e nelle regioni e negli enti locali, gli impiegati si sono ridotti di oltre 43mila unità, sono cresciuti invece di oltre 23mila unità quelli delle regioni a Statuto speciale. I dipendenti pubblici italiani non sono quindi troppi: sono il 14,7% rispetto al totale degli occupati italiani (erano il 15,1% nel 2007) e sono in numero minore sul totale degli occupati se raffrontati agli altri Paesi (Francia 21,9%, Uk 17,7%). Sono però mal distribuiti: si passa dai 95 impiegati pubblici per 1.000 abitanti in Valle d’Aosta ai 41 in Lombardia; inoltre calano dove il numero era già basso (in Campania, -13% dal 2007 al 2014) e crescono dove erano già molto sopra la media (+10% in Trentino, dove erano già oltre 76 per 1.000 abitanti). In controtendenza è la crescita per la ‘Spesa per incarichi libero professionali di studio, ricerca e consulenza’: è aumentata di circa il 21% dal 2007. Fallimentari si sono rivelate sino ad ora (ma i numeri consolidati si fermano al 2014) le politiche di mobilità: in tutto, gli spostamenti nel 2014 sono stati 27.421, cioè meno dell’uno per mille. L’indagine nota anche un crollo della stabilizzazione del lavoro flessibile, ma non dei lavoratori a tempo determinato, che sono ancora circa il 10%. Il lavoro flessibile conta circa 300mila persone, di cui 150mila nella scuola (in via di stabilizzazione, con i provvedimenti de ‘La buona scuola’), quasi 43mila nelle regioni e negli enti locali, oltre 32mila in sanità.A oggi tuttavia il rapporto tra lavoro flessibile occupazione a tempo indeterminato è pari 0,1 (ovvero un lavoratore flessibile ogni 10 dipendenti a tempo indeterminato). Ma a quanto ammonta la spesa per il lavoro flessibile in Italia? Nel 2014 è pari a 4.475 milioni di euro, con il maggior peso costituito dai contratti a tempo determinato e formazione lavoro (69%).Di fronte a questa situazione dell’amministrazione pubblica riscontriamo un tragico tasso di sfiducia degli italiani nell’ultimo periodo: l’Eurobarometro evidenzia una fiducia del 19% verso amministrazioni locali e regionali, contro il 63% della Germania e il 45% della Francia, ed è addirittura al 16% nei confronti del Governo, seguita solo dal 13% della Spagna. Tassi però in lieve crescita, a oggi, proprio per la speranza delle riforme.“Il Paese che cambia -commenta Carlo Mochi Sismondi, presidente di Fpa e curatore della ricerca- impone di cambiare anche alla Pa e nessuna riforma è possibile senza questa trasformazione ma per parlare d’innovazione è necessario aprire la porta ai giovani e alle nuove professionalità"."Sperare di portare la Pa a rispondere ai nuovi bisogni del Paese con un’amministrazione fatta di vecchi giuristi, e per di più immaginare di fare questo passaggio attraverso le leggi, ci destina - avverte - a un inevitabile fallimento. Servono meno leggi e più manuali; meno giuristi e più ingegneri economisti ed esperti di lavoro in rete; meno adempimenti e più coraggio per un’apertura vera delle amministrazioni alla collaborazione con il mercato e con i cittadini"."Dobbiamo insomma rassicurare i dirigenti e i funzionari pubblici, affetti dalla paralizzante sindrome della ‘burocrazia difensiva’, attraverso un puntuale accompagnamento al cambiamento, come per altro ha fatto qualsiasi organizzazione complessa”, conclude.