Milano, 3 lug. (Adnkronos) - "La vicenda dimostra come, con il proprio incedere, l'imputato abbia allargato in maniera indebita la platea dei destinatari della rivelazione e che non si sia 'acquietato' nemmeno dopo aver raggiunto lo scopo asseritamente perseguito, ossia quello di instradare il procedimento 'Ungheria' nei binari della legalità quando la Procura della Repubblica di Milano aveva iscritto il 12 maggio 2020 della notizia di reato". E' uno dei passaggi delle motivazioni dei giudici della prima sezione penale del tribunale di Brescia, presieduta da Roberto Spanò, che lo scorso 20 giugno hanno condannato l'ex pm di Mani Pulite a un anno e tre mesi (pena sospesa) per rivelazione di segreto d'ufficio nella cosiddetta inchiesta milanese sulla presunta loggia massonica svelata da Piero Amara."Le motivazioni offerte da Davigo per giustificare l’incontinenza divulgativa e i criteri di selezione adottati nella scelta dei depositari del segreto sono state assai variegati ma, in nessun caso, ricollegabili a fini ordinamentali. Del resto, le modalità quasi 'carbonare' con cui le notizie riservate sono uscite dal perimetro investigativo di Storari (verbali in formato word, tramite chiavetta Usb, consegna nell’abitazione privata dell’imputato) e le precauzioni adottate in occasione del disvelamento ai consiglieri, avvenuto nel cortile del Csm 'lasciando - prudenzialmente - i telefonini' negli uffici, appaiono sintomatiche dello smarrimento di una postura istituzionale" aggiunge la corte."Appare significativo, al riguardo della percezione da parte degli interessasti della irritualità dell'iniziativa assunta dall’imputato, l’imbarazzo con il quale il vicepresidente Ermini ha ricevuto la copia dei verbali e la solerzia con cui si è frettolosamente liberato del possibile corpo del reato" sottolineano i giudici.