Milano, 2 mag. (Adnkronos Salute) - Il tam tam di fake news a sfondo anti-vax che si alimenta sul web e via social rallenta la campagna vaccinale contro Covid-19. La prova arriva da uno studio condotto su dati Usa e pubblicato su 'Scientific Reports' (rivista del gruppo Nature) a cura di Francesco Pierri, ricercatore del Dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria (Deib) del Politecnico di Milano, in collaborazione con l'Indiana University, nell'ambito del progetto Horizon 2020 Periscope.L'obiettivo del lavoro - spiegano dal PoliMi - era capire se ci fosse o meno un legame tra la qualità dell'informazione consumata online e il sentimento no vax della popolazione statunitense, con conseguenti ricadute sulla campagna vaccinale anti Sars-CoV-2. I risultati dicono che esiste "un'associazione statisticamente significativa tra la quantità di disinformazione condivisa online e la tendenza a rifiutare o ritardare il vaccino negli Stati Uniti. In particolare, negli stati e nelle contee in cui viene consumata più disinformazione online si registrano livelli più alti di esitazione vaccinale e, conseguentemente, livelli più bassi di copertura vaccinale".Quello tra disinformazione veicolata da Internet e resistenza alla vaccinazione appare tuttavia un link generale, non 'solo a stelle e strisce'. Gli autori rimarcano infatti che "molti studi pubblicati durante la pandemia di Covid-19 hanno evidenziato come la cosiddetta 'infodemia' di notizie false o fuorvianti sul virus abbiano rallentato gli sforzi fatti dai governi per ridurre il contagio, dal rifiuto delle mascherine alla violazione delle misure restrittive".Ma come si è svolta l'indagine sui dati americani? Dall'inizio del 2021 - dettaglia una nota - i ricercatori del Politecnico meneghino e dell'Observatory on Social Media (Osome) hanno raccolto milioni di post condivisi su Twitter e relativi ai vaccini, con l'obiettivo di studiare gli effetti delle informazioni inattendibili e/o inaccurate sulla campagna vaccinale statunitense iniziata alla fine del 2020. Utilizzando una lista di siti di notizie etichettati da giornalisti, fact-checkers e altri accademici come portali che diffondono notizie false e inattendibili, gli autori hanno individuato milioni di post dal contenuto potenzialmente dannoso (articoli che dichiarano che i vaccini non funzionano o causano la morte) condivisi da milioni di utenti Twitter nei primi mesi del 2021, che si erano geolocalizzati nei vari stati e contee Usa. Per poter misurare le intenzioni delle persone di volersi vaccinare o meno, gli scienziati hanno utilizzato milioni di risposte a sondaggi giornalieri somministrati su Facebook in cui chiedevano agli utenti geolocalizzati se intendessero o meno vaccinarsi."I risultati del modello di regressione lineare multipla, che comprende altre variabili socio-economiche come la ricchezza media e la composizione etnica di ogni stato/contea - riassume Pierri - mostrano che la percentuale di disinformazione condivisa in media dagli utenti di una determinata area è correlata positivamente con la percentuale di persone che dichiara di non avere intenzione di vaccinarsi e, in maniera simile, correlata negativamente con la quantità di dosi di vaccino somministrate".